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Qual’è la domanda che i venditori al dettaglio si fanno da quando esiste l’e-commerce ?

Grazie a un accordo segreto con Mastercard, nell’ultimo anno Google ha potuto scoprire se i suoi utenti sono andati a comprare in negozi fisici i prodotti visti in rete. Questa la scoperta fatta da Bloomberg, che ha rivelato dell’acquisto da parte del motore di ricerca – che in realtà è il più grande venditore di pubblicità al mondo – di una quantità di informazioni che riguardano in particolare i cittadini americani che possiedono una carta di credito del circuito Mastercard.

La collaborazione tra le due multinazionali, mai resa pubblica finora, ha dato a Google uno strumento senza precedenti per rendere più efficaci i propri “ad”, cioè le pubblicità che compaiono sul browser durante la navigazione.

Chi è coinvolto

Due miliardi di clienti Mastercard nel mondo non erano al corrente che per ogni acquisto fatto pagando con la carta di credito – almeno negli Stati Uniti – Google ne sarebbe stata informata. Il meccanismo approntato dall’azienda ha come obiettivo la valutazione dell’efficacia dei propri spazi pubblicitari. Infatti, se è molto semplice collegare la comparsa di una pubblicità a un acquisto in rete, non si può dire altrettanto per tutti quei consumatori che usano il web per informarsi su un prodotto prima di acquistarlo in un negozio fisico.

Come funziona

Così è stato lanciato a maggio del 2017 lo “Store Sales Measurement”, ovvero il misuratore di acquisti in negozio. Un dato offerto a un numero limitato di clienti del sistema pubblicitario di Google. Ecco come funziona: l’utente cerca un prodotto nel motore di ricerca di Google o clicca su una pubblicità. Successivamente, quando va in un negozio e compra quello stesso articolo utilizzando la carta di credito o di debito di Mastercard, chi ha pagato per quella pubblicità viene informato dell’acquisto. Per funzionare, il sistema richiede che l’utente abbia fatto il login con il suo account Google e abbia effettuato l’acquisto entro 30 giorni da quando ha visto la pubblicità del prodotto. Le informazioni ricevute dal titolare della pubblicità comunque sono raccolte in forma aggregata e riguardano il volume degli acquisti.

Quando il nuovo indicatore è stato presentato, Google si era limitata a dire di poter accedere a “circa il 70 per cento” delle carte di credito e di debito degli Stati Uniti. Quello che invece non era mai stato spiegato è che questo tipo di informazioni derivano appunto dall’accordo con Mastercard. Accordo di cui i possessori di carte che utilizzano questo circuito non erano a conoscenza e che, secondo le fonti di Bloomberg, sarebbe stato pagato da Big G “milioni di dollari”.

Google assicura: “è tutto anonimo”

Anche se Google si è rifiutata finora di commentare la notizia, un suo portavoce ha chiarito che “Prima di lanciare questo prodotto in fase beta (non definitiva, ndr), abbiamo costruito un nuovo tipo di cifratura a doppio cieco, che impedisce che sia Google sia i suoi partner possano conoscere l’identità dei rispettivi utenti”. L’azienda ha voluto precisare quindi che i dati ricevuti da Mastercard sarebbero anonimizzati, impedendo di fatto la possibilità di risalire a quale utente abbia effettuato l’acquisto. “Non abbiamo accesso ad alcun dato personale dalle carte di credito o di debito dei nostri partner, né condividiamo con loro le informazioni in nostro possesso”, ha precisato l’azienda. Google sostiene anche che la funzione di tracciamento offline dei pagamenti possa essere disattivabile direttamente dalla sezione “Attività web e app” nelle impostazioni dell’utente. Non è chiaro però se sia possibile scegliere di non essere tracciati anche dal lato del fornitore del servizio di carte di credito o debito.

Seth Eisen, portavoce di Mastercard, ha spiegato che i dati in possesso dell’azienda vengono condivisi con i propri partner per misurare “l’efficacia delle loro campagne pubblicitarie”. Mastercard non ha commentato nel merito del rapporto con Google.

La scia digitale

La scoperta dell’accordo tra Google e Mastercard solleva ancora una volta il problema della scia digitale lasciata da ciascun utente, a volte a sua totale insaputa. Se è vero che lo “Store Sales Measurement” è un potente strumento di perfezionamento della filiera del consumo, è altrettanto vero che spesso non viene data agli utenti la possibilità di conoscere il modo in cui vengono trattate le loro informazioni.

La vicenda emerge a pochi mesi dallo scandalo Cambridge Analytica, nel quale si è appreso che i dati di 87 milioni di utenti Facebook sono stati usati impropriamente da un’azienda di microtargeting allo scopo di influenzare il sentimento politico dei cittadini in vista di diverse tornate elettorali.